di Tiziana Mazzaglia
Giorno 11 Settembre in Lombardia si riaprono i cancelli delle scuole e con essi le vite degli studenti, che spesso per tutta l’estate sono rimasti sospesi, tra noia e iperconnessione. Il ritorno a scuola non è solo l’inizio di lezioni e compiti: è il ritorno a un punto fermo, a un luogo dove sentirsi visti, ascoltati, riconosciuti. Per molti ragazzi, la scuola rappresenta l’unico vero argine alla solitudine. In un’epoca in cui il rischio di isolamento sociale è altissimo: basti pensare al fenomeno in crescita degli Hikikomori, giovani che si chiudono nelle loro stanze, vivendo solo attraverso schermi. In questo contesto la scuola diventa l’unico presidio di socialità, di confronto, di realtà tangibile. I giovani di oggi non chiedono solo programmi: chiedono spazi veri per esistere. Meno giudizi, più dialogo. Meno standard, più empatia. Vogliono parlare di futuro, ma anche di sé. Vogliono sapere che non sono soli. E la scuola, se ascolta davvero, può essere quel luogo che salva. Paolo Crepet, psichiatra e scrittore, sottolinea l’importanza della scuola nel fornire ai giovani strumenti per affrontare la vita: «La scuola dovrebbe insegnare a saper stare da soli, a vivere passioni, a mettere le emozioni al centro della nostra vita». Inoltre, evidenzia come l’isolamento possa portare a una chiusura pericolosa: «Il mondo esterno non offre nulla di interessante, motivo per cui i giovani si rifugiano in casa. Si tratta di una vera e propria chiusura, un comportamento che i genitori non dovrebbero incoraggiare». Crepet invita a riscoprire il valore delle relazioni autentiche e della passione nella vita dei giovani: «Insegniamo la passione ai giovani perché abbiano una vita piena e felice». La scuola, quindi, non è solo un luogo di apprendimento, ma un ambiente fondamentale per la crescita emotiva e sociale degli studenti. E allora la scuola, pur imperfetta, resta uno degli ultimi luoghi dove l’umano si confronta con l’umano. Dove la parola “presente” non è solo un appello, ma una chiamata all’esistenza. In un tempo in cui tutto scorre veloce, in cui le relazioni si frammentano in emoji e notifiche, educare è un atto rivoluzionario. Perché, come diceva Socrate, «la vera educazione non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco». E forse, il compito più alto della scuola è proprio questo: riaccendere nei giovani il fuoco del senso, della passione, del desiderio di esserci. Davvero.
