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Vivere il rifiuto

di Tiziana Mazzaglia

di Tiziana Mazzaglia

Vivere il rifiuto è un passaggio esistenziale spesso doloroso, ma necessario alla crescita dell’anima. Non esiste vita autentica senza aver sentito almeno una volta quel “no” che stringe il petto, quella porta che si chiude proprio quando credevamo di essere nel posto giusto. Ma il rifiuto, se vissuto con consapevolezza, non è una sconfitta: è un insegnamento. Epitteto ci ricorda che “non sono le cose in sé a turbarci, ma le opinioni che abbiamo di esse” e che quindi anche un dolore può essere trasformato in forza, se guardato con occhi nuovi. Il cinema ci ha regalato volti indimenticabili della solitudine e dell’abbandono: da Forrest Gump, che non viene mai scelto, mai compreso davvero, ma che continua ad amare incondizionatamente, fino a Le ali della libertà, dove il rifiuto della libertà esterna diventa via per trovare quella interiore. Anche in Her, il protagonista si innamora di un’intelligenza artificiale che, inevitabilmente, lo supera e lo lascia: è lì che capisce che il dolore è parte del suo essere umano. Nella letteratura, Rosso Malpelo di Verga è l’archetipo del rifiuto sociale: escluso, deriso, mai amato, è il simbolo crudo di una società che giudica senza capire. Ma è proprio nel suo isolamento che Rosso custodisce una forma di dignità silenziosa e feroce. Nietzsche ci esorta con coraggio: “Ciò che non mi uccide mi rende più forte”. E Simone Weil ci ricorda che “l’attenzione, colma d’amore, è la forma più pura di generosità”, anche quando la rivolgiamo a noi stessi, per consolarci dopo un abbandono, per comprendere che spesso i rifiuti ci indicano dove non dobbiamo più tornare. Il rifiuto, allora, non è la fine. È l’inizio di una consapevolezza nuova. È il seme del rispetto verso sé stessi. Perché talvolta ciò che ci ferisce è proprio ciò che ci restituisce la direzione verso la nostra verità più intima.

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