L’arte antica della cucina

L’arte antica della cucina

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

 

Cosa si mangiava nel Medioevo? Si mangiava a sufficienza? Quali erano le energia per la vita?

CucinaMedievale003Dal X secolo in poi si assiste ad una ripresa economica e quindi anche demografica, sì, perché proprio come oggi con l’Expò si discute del cibo come energia per la vita, studiando la storia possiamo apprendere come l’alimentazione sia strettamente legata alla popolazione e all’economia. Nei periodi di guerra i campi non avevano più braccianti e scarseggiando la produzione dei prodotti andava ad essere carente l’alimentazione, causando una carenza del naturale fabbisogno giornaliero: in questo modo il popolo si indeboliva, non riusciva a superare le malattie e le donne, in particolare non riuscivano a portare a termine le gravidanza, questo comportava una diminuzione del tasso di natività e un aumento del tasso di mortalità. L’alimentazione, quindi porta energia anche all’economia e allo sviluppo del pianeta. Tra gli alimenti presenti nelle tavole Medievali, come dimostrano in particolare i dipinti di tavole imbandite, non mancavano: frutta, verdura, zuppe, vino, burro, lardo, pane azimo, carni arrostite o lessate. In particolare l’arrosto era cotto ad elevato calore iniziale, per poi essere stemperato verso la fine della cottura, che avveniva allo spiedo o in un forno, e sicuramente non era come i nostri di oggi, ma in genere un recipiente in cotto esposto al calore del fuoco. La carne lessata, invece, prevedeva una cottura a bagno in brodo o vino. Un altro alimento tipico era il formaggio, nato dall’esigenza di conservare il latte trasformandolo in formaggio, ricco di calcio e proteine. Naturalmente le classi aristocratiche godevano di una ricca e sana alimentazione a discapito dei più poveri che si dovevano accontentare dei prodotti dei campi. Non mancavano cuochi professionisti a servizio nelle case aristocratiche, quindi gli chef esistevano già. Ci sono giunte fonti scritte che documentano la presenza di ricettari, in cui vengono anche spiegate le proprietà curative di erbe e spezie, in particolare di provenienza dai monasteri, trascritti a mano. Ad esempio, il Liber de coquina, ricettario napoletano dei primi del Trecento riporta la preparazione di un “Brodo alla provenzale”:

« Per fare brodo che faccia buon appetito, prendi dei polli tagliali in quarti; falli friggere con lardo e cipolle. Poi mettivi un po’ d’acqua fredda, i loro fegatini, maggiorana, rosmarino, prezzemolo, menta, zafferano.  Pesta il tutto e stempera col brodo delle dette carni; e insieme con le carni metti a bollire. Dopo di che prendi spezie, cannella, chiodi di garofano, noci moscate, sommaco, cardamomo, galanga, miele, zenzero. Poi pestavi i loro fegatini lessati e tuorli d’uova cotte quanto basti. Stempera col brodo delle carni e fa bollire per un po’.  Poi togli dal fuoco».

Nelle tavole non mancavano i dolci, infatti è noto che San Francesco nei suoi ultimi giorni di vita abbia richiesto la torta di una fedele che spesso si recava in convento e che è stata ricordata nella cripta della Basilica inferiore di Assisi, tra i nomi dei principali frati amici del santo, “Frate Iacopa”. La torta ha quindi un’antica origine e serviva per celebrare eventi particolari in un libro toscano del trecento, Il libro della cocina, vi è una ricetta chiamata “De la torta parmesana”:

«Togli, pulli

smembrati e tagliati e friggile

con le cipolee ben fritte, con lardo in

bona quantità: e cotti i polli

abbastanza mettivi su spezie e sale

abbastanza. Poi togli erbe

odorifere, mettivi su zafferano

in bona quantità, e poni

la medolla sopra il grasso

di quello, e batti col coltello

fortemente, e spessa

e mesta colle dette erbe

con  alquanto di cascio

grattato.

Poi togli queste un’altra quantità

e fanne ravioli; e togli

anche cascio fresco e fanne ravioli

bianchi. Togli anche petrosello

e altre erbe odorifere e cascio fresco

e fanne ravioli verdi,

e tutte cose sopraddette

distempera con ova.

Togli anche amandole

monde, pestale forte

e dividile in due parti;

nell’una mettivi de le spezie

in bona quantità, nell’altra mettivi

zucchero; e de l’una e de l’altra

quantità fanne ravioli

spertitamente: poi togli ova

e falli pieni.

Togli anche budelli di porco bene

grassi e lavati, et empili

di bone erbe e cascio, e lessali bene.

Togli anche prosciutto crudo e taglialo

sottile e fa similmente salsicce:

poi togli ova dibattute

e mesta con li detti polli

in uno vado e pòllo

su la bragia, e mescola

con la mescola fino che sia spesso;

poi levalo dal fuoco e assaporalo

di sale. Poi togli farina bene

monda e fanne pasta salda,

e forma al modo de la tegghia

o la padella. Poi collo

cocchiaio togli del brodo

dei detti polli e ungi la detta

pasta: poi nella detta pasta fa’

un solaio di carne d’essi polli;

nel secondo solaio poni ravioli

bianchi col savore di sopra;

nel terzo solaio poni prosciutto

e salsucce, tagliate come detto è.

Nel quarto solaio poni

de la detta carne. Nel quinto

poni dei cervellati

di carne, cervella e aromi,

cioè budelli pieni di sopraddetti.

Nel sesto de’ ravioli d’amandorle;

e in ciascuono solaio vi si pongano

dei datteri; e anche metti sopra

la detta carne il savore

e in ciascuno solaio poni spezie

abbastanza; poi metti spezie

di sopra che basti: e abbi la bragia

e poni il testo sopra,

e di sopra e di sopra

sia la bragia.

Scopri spesso la detta torta

e ungila con lardo; e se la si

rompesse, togli la pasta sottile

e sottilmente menata e bagnata

coll’acqua e poni su la rottura,

e metti il testo caldo di sopra.»

 

 

 

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