La parola ai professori…precari

La parola ai professori…precari

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

Intervista alla Prof.ssa Fabiola Ippoliti.

Gent.ma Prof.ssa Fabiola Ippoliti, Lei cosa insegna e da quanti anni?
Prof.ssa Fabiola Ippoliti.

Prof.ssa Fabiola Ippoliti.

«Ho insegnato lingua inglese per 16 anni in una scuola paritaria religiosa di Ciampino. Ho sempre amato il mio lavoro e, da sempre, ho sognato di farlo. Non dà grandi soddisfazioni economiche ma, di certo, regala l’opportunità di avere a che fare con ragazzini dai quali si impara più di quanto non si insegni. Nella scuola dove lavoravo avevo fino a 35 alunni per classe con tanto lavoro da svolgere a casa per la correzione e la preparazione delle lezioni impossibilitata com’ero, può facilmente immaginare, a sottrarre tempo e attenzione alla lezione tout-court. Nonostante tutto ero riuscita a trasmettere ai miei alunni l’interesse e la curiosità per una lingua e una cultura diverse dalle proprie. In tanti anni ero riuscita a creare ottimi rapporti con gli alunni e con le loro famiglie. La mia vita professionale aveva la sua direzione e una certa stabilità. Con questo spirito, nel luglio 2012, e un po’ disillusa nei confronti di quel che mi accingevo a fare, mi recai a sostenere le prove preselettive per l’accesso al TFA. Dopo la metà di agosto gli esiti: SUPERATE. A settembre le prove scritte: SUPERATE e prima in graduatoria con il punteggio di 28.5/30. L’entusiasmo e la convinzione di potercela fare erano alle stelle. Prove orali ai primi di novembre SUPERATE con il punteggio di 18/20. Ero decisamente fiera di me stessa: a 50 anni ero in un gruppo di circa 30 persone sopravvissuto agli oltre 200 candidati presenti alle preselettive. La considerai la svolta della mia vita,, ma mi costrinse ad operare delle scelte. Ricevuto il programma dei corsi, mi resi conto che sostenere quei ritmi di frequenza e studio affiancandoli all’attività di insegnamento, sarebbe stato troppo oneroso e scarsamente proficuo. Decisi quindi di chiedere un periodo di aspettativa non retribuita di sei mesi per poter intraprendere al meglio la mia nuova carriera da “studentessa” TFA. Corsi , esami, tesine, laboratori e 475 ore di tirocinio….. 475 ore per imparare a fare quello che già facevo da 16 anni!!!! Tirocinio attivo, progetto di extensive reading con i ragazzi e relazione finale. Finalmente abilitata e con il massimo dei voti!!!! Vuole sapere come è andata? Dopo 16 anni di insegnamento di inglese senza abilitazione, da due anni, successivi all’abilitazione, lavoro sul sostegno sprovvista del titolo di specializzazione. Un paradosso che riguarda me, ma riguarda altre migliaia di colleghi in tutta Italia. Conseguire l’abilitazione era stato il mio obiettivo, avevo superato prove decisamente impegnative. Ero il prodotto di un’accurata selezione e credevo che, in virtù di tutto questo, sarebbe toccata a me – e a tutti coloro che avevano intrapreso il mio stesso percorso- una sorte migliore».

Quale futuro attende nel campo della scuola?

«Come le dicevo, non è stato per niente facile ma ho accettato la fatica in vista del raggiungimento di uno status professionale che fosse migliore rispetto agli anni trascorsi nella scuola paritaria. Da molto tempo erano state sospese le SSIS (il X ciclo si era concluso nel 2008) e per ben 4 anni non erano stati indetti concorsi a cattedra né era stata data possibilità di abilitarsi tramite corsi equipollenti alle SSIS. Il decreto 249/10 del Ministro Gelmini che istituiva il TFA rispondeva quindi all’esigenza di formare un nuovo contingente di 20000 docenti calcolato sulla base del fabbisogno regionale per sopperire al fisiologico turn over dei pensionamenti (vedi art.5 comma 2 del suddetto decreto). Appena 10500 candidati, dei 20000 previsti,  riuscirono ad abilitarsi con il TFA e in teoria per loro si sarebbero dovute spalancare le porte delle GaE come era stato per i loro predecessori abilitati con le SSIS. Cosa non ha funzionato? Ministro Profumo, Ministro Carrozza e poi Ministro Giannini: ecco cosa non ha funzionato. Tre ministri  che con ostinazione hanno ribadito che il TFA, in quanto corso abilitante, non poteva avere valore concorsuale. Il nostro titolo poteva darci accesso soltanto alla II fascia d’istituto e a un bel concorso. E’ sfuggito a lorsignori che un bel concorso noi lo avevamo già fatto per essere ammessi al TFA. Per tornare alla sua domanda: cosa mi attendo? Mi attendo un ravvedimento da parte del Governo che tanto va sbandierando il discorso del merito e della trasparenza, nel voler riconoscere il merito di tutti noi che abbiamo conseguito l’abilitazione tramite il TFA  consentendoci l’ingresso in GaE e la conseguente assunzione. Questo è il Paese dell’assurdo: noi selezionati e abilitati all’insegnamento da docenti universitari dovremmo sottoporci ad un concorso dove gli esaminatori sono docenti di scuola secondaria, praticamente nostri colleghi. A rigor di logica mi dica lei se un titolo universitario possa in alcun modo essere considerato pari o addirittura inferiore ad un titolo rilasciato dalla scuola superiore. Il concorso non abilita. Il concorso testa le competenze disciplinari, non quelle didattiche o pedagogiche. Eppure si ostinano a parlare di concorso, un calderone in cui butteranno gli abilitati insieme ai laureati».

Come si è mossa, in questi anni, per tutelare i diritti suoi e dei colleghi che vivono la sua stessa situazione?

«Alla chiusura del I ciclo del TFA abbiamo immediatamente intuito che non ci sarebbe stato lo sbocco che tutti noi avevamo auspicato. Sigle di associazioni sindacali si affannavano a proporre ricorsi su ricorsi cercando di battere sul tempo la concorrenza. TAR, Consiglio di Stato, Presidente della Repubblica; centinaia di euro che andavano a sommarsi alle migliaia già spese per il costo dei corsi e tutto nella speranza di ottenere quello che per merito ci sarebbe spettato. Sono sorti spontaneamente gruppi su Facebook che convogliavano verso un’ unica destinazione tutto il malcontento, la delusione e l’esasperazione che proveniva dagli angoli più distanti del nostro Paese. Migliaia di voci tradite e arrabbiate che meditavano sulla possibilità di protestare pacificamente per il riconoscimento dei propri diritti. Si sono organizzati alcune manifestazioni e sit-in in Viale Trastevere e a Piazza Montecitorio. Alcuni politici hanno ricevuto le nostre delegazioni, altri sono usciti dal Palazzo per parlare direttamente a tutti noi e recentemete i capi di alcuni coordinamenti sono stati accolti nelle audizioni della VII Commissione Cultura. Tanti tentativi, soldi e tempo spesi per nulla. Perché è il nulla che ci prospettano».

Cosa significa concretamente, per lei e per i suoi colleghi precari, il ddl “buona scuola”? 

«Per noi docenti di II e III fascia nelle graduatorie d’istituto il ddl significa la disfatta. Il Presidente del Consiglio e il Ministro Giannini vantano la portata innovativa e rivoluzionaria della riforma sostenendo che “un errore è comunque meglio della paralisi” in cui la scuola a loro parere ristagna da decenni. Parlano nella speranza di convincerci che la riforma genererà stabilizzazione ed eliminerà il precariato. A mio parere, una scuola dove il Dirigente sceglie il proprio staff ogni tre anni, facendo rimbalzare , tra le scuole facenti parte di una rete, i docenti a lui/lei meno graditi, cancellerà la stabilità e creerà nuovo precariato. 100000 assunzioni a tempo indeterminato, parte in organico di diritto e parte in organico funzionale a disposizione per le sostituzioni. E se i docenti assunti a tempo indeterminato diventeranno i nuovi precari, per noi nelle graduatorie d’istituto dovrà essere coniato un nuovo termine. Ma forse per quel tempo non avremo più bisogno né diritto al nome perché già saremo stati cancellati. Renzi vuole dissuaderci dall’aderire allo sciopero e alla manifestazione dei prossimi 24 aprile e 5 maggio inviandoci una lettera per spiegarci quanto la “Sua” Scuola sia davvero Buona. Io penso che Renzi non abbia più nulla da spiegarci perché abbiamo già capito da soli e non può toglierci anche l’ultimo diritto che ci è rimasto».

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