Come leggere un film?

Come leggere un film?

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

Lettura di un film: Alba tragica di Marcel Carné del 1939, Francia. Scenografia di Alexandre Trauner, musica di Maurice Jaubert, dialoghi di Jacques Prevert (87 min. B/N). Interpreti: Jean Gabin, Arletty, Julies Berry.

alba_recto_hiMarcel Carné è stato noto come regista francese degli anni quaranta divenuto celebre con il film “Quei des brunes”, in italiano “Il porto delle nebbie”, ma prima ancora di approdare al cinema si era occupato di giornalismo ed era anche stato scrittore. Le migliori e più importanti opere di Carné sono riconducibili ad una vena di pessimismo che caratterizza tutta la produzione francese degli anni quaranta. Si tratta di un pessimismo malato e quasi senza scampo, per cui un accostamento al regista Julien Duvivier risulta scontato. Carné predilige situazioni morbose e personaggi spinti da inarrestabile impulso che si rivela alla fine rovinoso. Il suo stile sfocia in una pratica meccanica, una specie di gioco di incastri fine solo a se stesso. Nel suo stile non vi sono tratti di comicità e i movimenti di macchina, le angolazioni e l’illuminazione rimangono tipici di quelle che sono le vicende drammatiche, con rilievi di chiaro-scuro molto efficaci. Nel film “le jour se léve”, in italiano “Alba tragica” i dialoghi sono stati affidati al poeta Jacques Prevert che punta a delineare una comunicazione orientata su tematiche come la rivolta anarchica, l’amore tormentato, il dramma della solitudine e della separazione, il tutto temperato tra sarcasmo e tenerezza. Il poeta era stato sempre legato al mondo del cinema in cui sentiva si poter esprimere tra satira e polemica il suo mondo poetico. Con Prevert l’impostazione idealistico-metafisica tipica della prima avanguardia non si muta in impostazione materialistica dialettica: vi è in lui al massimo una connotazione tra idealismo metafisico e materialismo volgare, meccanicistico. Nel suo pensiero domina l’uomo, come essere isolato, perso, che non può comunicare con gli altri uomini e in cui l’amore è sofferenza, come qualcosa di impossibile da realizzarsi. Prevert non parla degli uomini, ma della loro sofferenza che appare quasi dipinta tra le parole.

Una delle sue poesie in cui traspare questa poetica è “Questo amore”

Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore cosí bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
È tuo
È mio
È stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l’estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria

Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l’ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.

 

 

Jean Gabin, in una scena del film "Alba tragica" di M. Carnét (1939).

Jean Gabin, in una scena del film “Alba tragica” di M. Carnét (1939).

Il film “Alba tragica” ha inizio con immagini di una città francese malata dall’avvento delle fabbriche e dal lavoro malsano dei suoi operai. È l’alba quando la sveglia del protagonista, Francesco, caricata la sera prima, suona inutilmente, annunciando che sta per spuntare il giorno. Si tratta di una costruzione del film che apre con il finale e poi si struttura come flashback, come sorta di ricordo: ora delicato, ora tenero, ora crudele, ora sofferto, ora sereno. Vi è un climax continuo di ricordi in cui si annidano sentimenti opposti. Si tratta di un cinema in cui la lunga azione è ripresa senza continuità temporale e spaziale. La narrazione si articola attraverso delle immagini; l’obiettivo è una specie di occhio che vede e non scarta passivamente, ma indaga, si ferma e poi fugge, inquadrando un volto, un occhio, uno spigolo di un mobile: fissa soltanto ciò che è essenziale rivelandosi un instancabile osservatore. Il regista in tutto questo denota un’arte da maestro della suggestione. La trama di snoda tra un innamoramento di due giovani che hanno lo stesso nome, Francesco e Francesca, la stessa età e un destino che si incrocia, ma viene ostacolato da tutto e anche da un antagonista, un vecchio uomo ambiguo. In tutto questo Francesco, troppo sensibile e onesto finisce con l’uccidersi nella sua abitazione, dopo aver fumato l’ultima sigaretta del pacchetto, emblematica del suo ultimo giorno di vita e della sua ultima ora. Nella scena finale ha una forte rilevanza lo specchio in cui il protagonista si riflette e che preannuncia, così, la sua morte. L’immagine riflessa nello specchio è presagio di morte anche bella letteratura: Gabriele D’Annunzio aveva descritto l’immagine allo specchio del suo caro amico malato di tifo. Si tratta di un oggetto in cui si riflette l’immagine e la visione di un individuo, che porta anche a riflette su se stessi, a dialogare, a vedere quel proprio io che gli altri non vedono, come in “Uno nessuno e centomila” di Luigi Pirandello. Un oggetto utilizzato anche in psicoanalisi da Freud.

 

 

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