“Se in amore si può inventare qualcosa di nuovo noi lo inventammo”

“Se in amore si può inventare qualcosa di nuovo noi lo inventammo”

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

 

Nel giorno di san Valentino ricordiamo una storia d’amore mai dimenticata: Abelardo ed Eloisa.

abeloiEloisa ed Abelardo sono stati i protagonisti di una storia d’amore del XII secolo, che continua ad essere tramandata e studiata a scuola e in Università, in ambito della cultura e della filosofia medievale. Di questi due personaggi conserviamo preziose fonti scritte composte da lettere. La Garzanti nel 1983 ha edito un volume dal titolo “Abelardo, Storia delle mie disgrazie, Lettere d’amore di Abelardo ed Eloisa”. In questo volume vi è una lettera che Abelardo indirizza ad un amico (op. cit. pg. 23) con scritto: «Se in amore si può inventare qualcosa di nuovo noi lo inventammo. E il piacere che provavamo era tanto più grande, perché noi non lo avevamo mai conosciuto, e non ci stancavamo mai». Un buon incipit per una storia che ancora oggi ha la sua fama. Parole in cui riecheggiano i versi di Francesca da Recanati, nel canto V, Inferno, Divina Commedia di Dante Alighieri: «amor che nullo amato amar perdona / mi prese di costui piacer sì forte che, come vedi, ancor non m’abbandona». Si parla quindi, di un amore di un’intensità non comune a tutti, che difficilmente gli animi umani provano è giustificato da ogni peccato, anche se condannato delle leggi umane, in quanto non può essere celato, soffocato, reciso se non con una punizione.

Pietro di Berengario, più noto come Pietro Abelardo era nato a Le Pallet, in Bretagna nel 1079, fine del secolo XI. Fin da piccolo era stato indirizzato agli studi classici dal padre e in particolare alla dialettica. Discepolo di Giovanni Roscellino alla schola di Tours e di Loches e di Guglielmo di Champeaux a Parigi. Uno nominalista e l’altro realista. Nell’anno 1116 aveva incontrato Eloisa iniziando la loro storia d’amore, definita nel XX secolo, dal filosofo Franco Alessio, che è stato docente di Filosofia Medievale, presso l’Università degli studi di Pavia, come: «l’anno di quella che con imperdonabile leggerezza, o con truculenza di colori, si chiama l’avventura con Eloisa». Eloisa era una giovane rimasta orfana e sotto la tutela di uno zio che aveva incaricato Abelardo di fornirle un’istruzione. Anche qui, come nel canto V dell’Inferno, sono i libri ad essere “galeotti”. Non manca neanche il peccato di lussuria. Abelardo stesso aveva ammesso di avere due peccati: la lussuria e la superbia. Le pene connesse a questi peccati, però le aveva scontate in vita e non da morto, infatti si era ritrovato a bruciare con le sue stesse mani il trattato di teologia di cui andava tanto orgoglioso ed era stato evirato dallo zio di Eloisa, senza poter più consumare il suo amore. Un crudele destino coronato solo da una sepoltura unica, che ha visto i due corpi uniti per l’eternità a testimonianza di un amore irripetibile.

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