La fame dell’altro: quando l’amato diventa il nutrimento senza il quale si sta male

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

 

 

Federica Guagliardo, psicologa, ospite alla 37ª trasmissione “Pizza Verga” il Salotto della Giustizia, condotta dall’avvocato Giuseppe Lipera. Presenta il suo nuovo libro “Lovepatia” con prefazione di Francesco Spadaro psichiatra, Aracne editrice.

 

9788854882348Durante la 37ª puntata della trasmissione “Piazza Verga” il Salotto della Giustizia, condotta dall’avvocato Giuseppe Lipera a Catania, la dottoressa Federica Guagliardo ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “Lovepatia”. Un testo che, come ha spiegato l’autrice, è il frutto di una sintesi di varie esperienze maturate presso il centro antiviolenza Galatea, di cui lei stessa è socio-fondatrice, dedicato alle vittime di violenza, come donne e bambini. In più, nel testo viene dedicata attenzione anche all’uomo che può essere o vittima o carnefice, con lo scopo di delineare un disturbo tramite criteri diagnostici e vuole essere un tema di ricerca utile, sia nel campo della prevenzione sia nel campo dell’elaborazione di una terapia da applicare ai soggetti malati di “lovepatia”. Questo termine che dà il titolo al libro è stato appositamente costruito dalla dr. Guagliardo, come parola composta dalla parola inglese “love” che significa amore e dal suffisso “patia” che deriva dal greco πάθος, oi che letteralmente assume il significato di “soffrire”, “emozionarsi”. Lovepatia, infatti, indica una patologia in cui confluiscono tutti quei malesseri legati alla sfera emozionale e sentimentale che procura una sofferenza causata dalla persona amata. La vittima e il carnefice non si accorgono di quello che stanno vivendo se non quando scoppia un vero e proprio dramma che solitamente è legato ad un atto di violenza e in questo caso scatta l’intervento di uno psicoterapeuta psicoanalitico che può lavorare sul mondo interno della persona, sulle sue emozioni, intraprendendo così, un viaggio alla scoperta del sé. La meta di questo viaggio è dunque, la cura della dipendenza patologica distruttiva in cui il controllo della persona diventa eccessivo: dove sei? Cosa fai?: il carnefice si indentifica come colui che deve controllare l’altro costantemente, senza dargli spazio. Una patologia in cui si innesca una vera e propria fame dell’altro; in cui l’amato diventa il nutrimento senza il quale si sta male e poi sfocia nella violenza per la reazione mentale mediante cui: “se non puoi essere mia non potrai essere di nessun’altro”. Questo discorso di “fame dell’altro” scaturisce anche nell’esperienza del dott. Gary Chapman, che vive negli Stati Uniti e lavora come consulente matrimoniale tenendo seminari di formazione matrimoniale. La sua attenzione è posta sul linguaggio di una coppia, ritenuto la causa di incomprensioni e rotture. Spesso si pretende dall’altro qualcosa senza che l’altro sappia cosa. Come una lingua per essere compresa deve essere conosciuta da entrambi le parti, così vale anche per l’affettività. “Dobbiamo essere disposti a imparare il linguaggio d’amore principale del nostro coniuge, se vogliamo comunicare amore in modo efficace”. Ogni individuo si porta dietro le sue esperienze, le sue delusioni, attese, desideri e sogni. Come sosteneva Sigmund Freud “il bambino è il padre dell’uomo” quindi, ogni individuo fa memoria del proprio vissuto infantile e ripropone nella sua vita affettiva ciò che ha vissuto del rapporto genitoriale. Nell’infanzia si assiste ad un processo di apprendimento, in cui vengono poste le fondamenta di una personalità, infatti si dice che da piccoli non solo si impara a leggere e a scrivere, ma si impara ad amare. Questo, però, non significa che il figlio di un violento sia per forza un violento, ma che tendenzialmente l’esperienza di violenza ha segnato la sua mente e se aiutato potrà evitare di riproporla anche nel suo rapporto di coppia. La comunicazione deve essere il primo gradino per conoscere il terreno su cui far fiorire un amore capace di mettere radici. Molte volte la vita frenetica di ogni giorno accorcia i tempi e allunga le distanze. Spesso si finisce col dare per scontato piccole buone abitudini, come anche dire un solo “grazie” e non dare per scontato quanto l’altro ha fatto per noi, anche se un minimo gesto di versare da bere nel bicchiere. “Nel cuore dell’esistenza di ogni persona vi è il desiderio di essere accolti e amati da un altro”. Chapman sostiene che gli individui sono come dei contenitori, che si riempiono e si svuotano a vicenda. Quando uno dimostra affetto all’altro si svuota di energia e se non ha un ricambio a lungo andare si esaurisce. Quando le manifestazioni di affetto sono reciproche, invece l’energia passa da un “contenitore” all’altro e i serbatoi non si esauriscono. Quando invece, uno dei due continua ad attingere dall’altro per soddisfare la propria fame, allora innesca quello che la dottoressa Guagliardo ha definito “Lovepatia”, ovvero, una dipendenza patologica e distruttiva. Un termine nuovo che definisce qualcosa che è sempre esistito e anche in campo della letteratura, del cinema e del teatro viene riproposto: basta citare la tragedia di Medea, che dopo il rifiuto del marito uccide i propri figli; ad Ermengarda che ripudiata come moglie da Carlo Magno si rinchiude in convento incapace di vivere senza l’amato; ancora ad Abelardo ed Eloisa che malgrado la consacrazione non sanno fare a meno l’uno dell’altro; ad Eleonora Duse, vittima per amore del carnefice Gabriele D’annunzio ed infatti, lei sul punto di morte aveva detto: “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”. E lui al funerale di lei aveva detto: “È morta l’unica che mi ha amato”. Inevitabilmente i due si sono amati, ma non in modo sano, perché come ha spiegato la dottoressa Guagliardo nel corso della trasmissione bisogna distinguere l’amore sano da quello patologico. Un libro quindi, che va oltre la soglia dello scopo dell’autore, perché può essere letto da chiunque dando la giusta informazione per smascherare situazioni di stallo in cui si vive senza rendersene conto. Un aiuto concreto contro l’epidemia del nostro secolo chiama “femminicidio”. Oppure, ancora un omaggio all’amore sano. E concludo con una poesia che fa parte di una mia raccolta dedicata alle donne vittime di sofferenze “Scarabocchi nella mente”:

Come una farfalla

 

Fresca e colorata,

Sembra amata, ma è solo incatenata.

 

Trucco e abiti

Sono solo alibi.

 

Tempesta in un cuore

Che si infiamma d’amore

 

Tempesta in una mente

Che riconosce quanto mente!

 

Tiziana Mazzaglia (2013)

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