I luoghi della follia: ca’ song tutt pazz’

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

Un video in cui l’avv. Giuseppe Lipera interpreta un testo poetico dell’avv. Francesco Cannizzaro.

 

In foto, Avv. Giuseppe Lipera.

In foto, Avv. Giuseppe Lipera.

Follia, pazzia, mania! Chi non he ha sentito parlare, è quel grigiore con cui tutti prima o poi facciamo esperienza: Martin Heidegger, filosofo del XX secolo, sosteneva che «nessuno può saltare oltre il limite della propria ombra» e quell’ombra grigia che segna il nostro cammino comprende tutto quanto vogliamo lasciarsi alle spalle, ma che nell’esperienza della follia ci precede prendendo il sopravvento. Letteratura, cinema, religione, poesia, sono tutti campi in cui la follia ha avuto il suo scenario: San Francesco d’Assisi era folle in Cristo, Mercuzio in Romeo e Giulietta di William Shakespeare e per i più eruditi Erasmo da Rotterdam aveva scritto addirittura un “Elogio alla Follia”. Una poetessa milanese, del XX secolo, che tutti conoscono di fama, Alda Merini i manicomi li ha vissuti in più occasioni e li ha citati nelle sue poesie, in un verso dice addirittura “confondere la merda con la cioccolata è un privilegio di persone estremamente colte”. Quasi uno stato di ebbrezza, causato a volte da stress, da confusione da cause anche non facilmente spiegabili, ma la follia la si incontra spesso. Francesco Cannizzaro, Catanese d’origine, ma avvocato del foro di Milano, nel 2011 ha scritto una poesia “Manicomio di giustizia”. L’avv. Giuseppe Lipera lo ricorda in una video pubblicato il 3 aprile 2015, in cui interpreta il testo recitandolo e lo presenta descrivendone la trama: «una poesia di un’attualità immensa, poteva essere scritta anche vent’anni fa e sarebbe stata attuale, io temo che anche fra qualche anno, anche se la speranza non muore. Descrive il punto di vista di un uscere del palazzo di Giustizia Italiano, che accoglie gente che viene fuori da una verità, e credo per marcare l’ironia e il sarcasmo il poeta ricorre al Napoletano». Nel testo non manca da componente amorosa che dona uno sfondo romantico alla narrazione: «Un giorno (il brutto) “Fatto Reato” incontrò (la bellissima) “Lecita Condotta”. Fu amore a prima vista e, dalla loro innaturale unione, nacquero così quei bastardini degli “Indizi di Colpevolezza”» (di Francesco Cannizzaro). Un testo poetico che cela in se un dramma vissuto in quel luogo in cui si attende un giudizio. Un condannato per un crimine il delirio lo conosce bene, perché vive un tempo in cui tutto è sospeso, in cui tutti lo guardano e lo osservano come un animale da laboratorio, privato della propria anima. Grazie all’interpretazione dell’avv. Lipera i versi della poesia si animano si ritmo e colore in una vera e propria raffigurazione teatrale di quella che è descritta come “la casa degli abusi dei soprusi e delle inciviltà”. Una poesia che si pone come i romanzi di Stendhal: come uno specchio che riflette la realtà.

 

Testo della poesia:

“MANICOMIO GIUSTIZIA” di Francesco Cannizzaro (Milano, 21.07.2011)

Ne’, ma voi che dite? Siete sicuro? Ah… tenite ‘e prove. E arò stann’ ‘e prove? Prego, trasit’! Cce’ site venut’ o vi c’hann’ mannat’! Vabbuò, non importa! Venite ‘nnanzi, ma nun ‘a chiurit’ ‘a porta. Non si sa mai, ve venisse ‘n mente de ve ne fuì! Perché qua, signore mio, statem’ a sentì; Ve fann’ascì pazz’! Ammesso ca, trasennu, vuje nun lo site già! E sì! pecché ‘nce vò curaggio ‘e ce’ trasì, Specie si ’e vot’, nisciun’ ve ce mann’! Per parte mia, ch’ ve’ puozz’ dicere, Vi faccio i miei sinceri auguri E vi do il benvenuto… Nel manicomio giustizia, La casa degli abusi, dei soprusi e della inciviltà! Al fine di rendere meno grave la vostra permanenza, mi permetto però, di suggerirvi alcune buone regole, così, tanto per gradire e per meglio adattarvi all’ambiente: Per prima cosa, scurdateve e’ ‘ll’equità, Concetto molto astratto e di difficile comprensione! Il diritto, nun ‘o cercate propet’, che non sta qua di casa! Già, ha traslocato molti anni addietro, E mo’ nisciun’ s’’o ricord’ cchiù! Però, in compenso, Con tutto il rispetto per chi lo merita, Ce stann’ tant’at’ ccos’! Ignoranza, arroganza, cinismo, delirio di onnipotenza, Strafottenza, sfaticat’ e quaquaraquà! Il tutto, nella semplice consapevolezza Di farla sempre franca. Pecché questo, caro signore, E’ l’unico posto al mondo, dove chi sbaglia, Per caso o per maniera, non lo paga il conto! Tanto a pavà, ’nce stà sempe’ quaccun at’! Per intenderci, quelli come a vuje, Che qua venite, senza sapè pecché!

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