L’esperienza della Misericordia
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Come si incontra e come si vive l’esperienza della Misericordia? L’aver sperimentato la Misericordia quali insegnamenti può trasmettere, in particolare, ai giovani?
Risponde Padre Marco Asselle o.f.m., Convento S.Francesco, Loc. Monteluco, Spoleto (PG), docente di Storia del francescanesimo, presso l’Istituto Teologico del Sacro Convento di Assisi.
«Quest’anno Papa Francesco ha indetto il Giubileo sulla Misericordia e non può essere solo una coincidenza il fatto che, proprio nel 2015, la Chiesa, e in particolare noi francescani festeggia, anche l’ottavo centenario del Perdono di Assisi. Dalla concomitanza di questi due eventi emerge con chiarezza che uno dei proprium dell’essere frate minore è nel “fare misericordia”.
Sono frate minore da circa 18 anni e da nove sono anche sacerdote. Il fatto di far parte della Provincia dei Frati Minori dell’Umbria mi ha permesso di vivere presso il Convento della Porziucola, e poter così amministrare il sacramento della Confessione a tante persone, soprattutto durante i giorni del Perdono di Assisi. Spesso, in questo luogo si avvicinano persone molto ferite, che per tanti motivi sono rimasti diversi anni lontano da questo sacramento. Poter ascoltare le loro storie – prima ancora dei loro peccati – e raccogliere le loro lacrime è una grazia enorme.
A mio parere, per poter essere “strumento di misericordia” è necessario, prima di tutto, aver fatto noi stessi esperienza della misericordia di Dio sulla nostra vita. E’ ciò che ha vissuto Francesco in molti momenti della sua vita, a partire dall’abbraccio al lebbroso. Senza aver fatto esperienza della nostra povertà, di una povertà che viene conosciuta e perdonata, si rischia di diventare dei giudici, talvolta anche severi, più che degli amministratori del perdono gratuito e incondizionato di Dio.
In questo ambito, tra le esperienze più significative che ho fatto sono stati gli anni passati tra gli adolescenti, dallo scoutismo, ai gruppi parrocchiali, ai ragazzi “di strada”. L’incontro con loro, con il loro mondo, le loro paure, il loro bisogno di sentirsi incoraggiati, non giudicati ma, anche perdonati è stata una scuola bellissima, ma anche esigente.
Ho sperimentato quanto fa bene a loro – e anche a noi adulti, sacerdoti e laici – aver l’occasione di poter dire ad una persona reale i propri peccati – che sono anch’essi reali e concreti, fatti di parole e di azioni – e sentire, con le proprie orecchie, che questa persona, a nome di Dio, ti dica: “Coraggio figlio, i tuoi peccati sono stati perdonati. Va in pace”. Sentirsi dire: rialzati, non piangerti più addosso per ciò che di male hai fatto, ma riparti. Dio non vuole che noi rimaniamo bloccati dai nostri peccati, ma vuole che ci rialziamo per amare noi stessi e gli altri. Il problema è che spesso – soprattutto in presenza di peccati particolarmente gravi – “non è sufficiente” il perdono di Dio, ma è altresì importante che noi “ci sentiamo perdonati da Dio”, e qui entra in gioco la capacità comunicativa, e talvolta anche un po’ psicologica, del sacerdote il quale deve avere la capacità di “far comprendere” al penitente che non è più schiavo del peccato».