L’animo umano genera arte e rende l’uomo più sensibile. I messaggi  dell’arte

L’animo umano genera arte e rende l’uomo più sensibile. I messaggi dell’arte

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

L’arte negli animi e nella storia.

«Un’immagine è più di un’immagine

 e a volte più della cosa stessa

di cui è l’immagine».

P. Valèry.

«Il valore di un’opera d’arte consiste

nel suo profetizzare un mondo».

 Kandinskij.

 

«Il valore dell’opera d’arte

 si verifica non tanto

 in  quanto l’opera d’arte

 viene detta bella e riuscita,

 ma in quanto concretamente

 e storicamente,

l’opera d’arte stimola

 e suscita un processo,

 infiniti processi

indi interpretazione

e  cioè discorsi».

Vattimo

 

 

download (4)Come ben sostiene il maestro Kandinskij: «Il valore di un’opera d’arte consiste nel suo profetizzare un mondo». Partendo da questa teorizzazione di quanto è astratto e quindi, visibile, si può varcare la soglia dell’interpretazione dei segni. Ogni segno è messaggio di qualcosa e come tutti i messaggi prende parte di quel campo chiamato “comunicazione” e comprende un mittente, un destinatario e un messaggio che passa attraverso un canale. Il mittente di un tale linguaggio è denominato comunemente “artista”, perché trasforma, rielabora un qualcosa che sente dentro di sé e lo propone al pubblico, un qualcosa che non sa sé e come sarà inteso, perché ogni lettore legge secondo la propria sensibilità, il proprio vissuto e la propria cultura. Nel corso del Novecento si intraprende una corrente artistica ispirata alla psicologia, in cui figure scomposte fanno parte di un linguaggio psichico dell’artista e molte volte hanno a che fare con l’onirico. Varie e numerose sono le definizioni date al termine “arte”, ma tutte si ricollegano al concetto di rievocazione di un qualcosa che proviene dall’interno dell’uomo. L’animo umano genera arte e allo stesso tempo l’arte è generata insieme con l’uomo. Fin dall’età preistorica gli individui avvertono inconsciamente il bisogno di manifestare se stesso attraverso il disegno, come ci attestano le incisioni rupestri ritrovate. Così, di secolo in secolo, si assiste allo sviluppo e al progredire umano, in parallelo dell’arte, ovvero della manifestazione umana di ciò che si muove nel proprio animo. Per ogni periodo storico si hanno suddivisioni di arte che si collegano e richiamano il fervore del periodo storico vissuto dall’autore. L’idea del bello non è mai stata conservata in modo identico in tutti i tempi, ma ha una sua evoluzione. Si pensi ad esempio al mutamento dell’immagine della donna, dell’antica Grecia dalle forme femminili mediterranee molto accentuate, alla donna di oggi molto curata nella linea. “Cos’è l’Arte?” è una domanda che ricorre spesso, quando ci si accosta ad un’opera di architettura, scultura, pittura, letteratura, cinema e teatro. Si avverte la necessità di percepire l’essenza dell’opera, che è il significato affidato dal suo autore. Da dove viene, verso dove è orientata, e a cosa serve, principi fondamentali che sono tipici dell’uomo, come la filosofia dei primi tempi riconosce quali tematiche fondamentali dell’esistenza umana. Percepire chi sono? Da dove vengo? Dove vado? L’artista è sempre interprete degli elementi più reconditi del mondo in cui vive, occorre trovare un punto comune tra chi compone l’opera e chi la contempla. L’arte è un’esigenza di carattere interiore, serve a l’uomo, per manifestare qualcosa che ha dentro di sé, l’arte si genera, come parte viva che vuole venire alla luce, vuole respirare e vivere. Tra le forme artistiche prende parte anche il linguaggio poetico, caratterizzato da due aspetti che coesistono: significante e significato. Il significante riguarda le parole della poesia, il loro suono, il loro ritmo, i loro accostamenti. La poesia vive di suoni, ritmi, figure, anzi di quei suoni, ritmi, figure che il poeta ha scelto per comunicare il proprio messaggio. Ciò equivale a dire che, nella poesia, significante e significato sono strettamente connessi, al punto da risultare inscindibili. Il significato giunge a noi attraverso quel significante; se interveniamo sul significante, modificando l’ordine delle parole o sostituendo un vocabolo con un altro, tutti gli equilibri risultano alterati e quella poesia non esiste più. Per questo stesso motivo, una poesia tradotta può essere bella e suggestionante, ma è certamente “altro” rispetto all’originale. Può restituirci la forza delle immagini, non quella dei suoni e dei ritmi. Il linguaggio della poesia è, infatti, denso, concentrato e polisemico, il poeta condensa emozioni, pensieri, sensazioni in immagini sintetiche e incisive, lasciando che sia il lettore a interpretarla, come la pittura del ‘900, espressione di sentimenti e stati d’animo attraverso un’ immagine letta e interpretata individualmente. Si vedano, ad esempio, alcune opere di Chagall, oppure ancora, nel campo del cinema, i film di Buñuel, in cui vengono strutturate dimensioni oniriche. Si inizia da un’idea, ad esempio nel caso di cinema narrativo si parte dall’idea di una storia, priva ancora delle sue articolazioni, limitata molte volte ad una situazione, a un evento, a uno o due personaggi. Un’ idea da precisare, articolare e definire che prendere forma per diventare tutti gli effetti una storia, organizzata per essere raccontata attraverso le immagini. Da questo scaturisce la “scenografia”, una descrizione più o meno precisa, coerente, sistematica di una serie di eventi, personaggi e dialoghi connessi in qualche modo tra loro. La sceneggiatura, si può, quindi, definire come un processo di elaborazione del racconto cinematografico, che passa attraverso diversi stadi, dall’idea di partenza alla sceneggiatura vera e propria. Quando si va al cinema si va a vedere un film narrativo, cioè, un film che racconta una storia. Anche se non siamo al corrente di ciò di una trama siamo in attesa di qualcosa di inatteso: uno stato di cose iniziale, dei personaggi e delle azioni, degli eventi connessi, secondo una logica ben decisa, conflitti, risoluzioni e uno stato di cose finale. Il termine “racconto” raccoglie in sé almeno due significati diversi: quello di storia e quello di discorso. La storia è il “cosa” viene narrato e il discorso è il “come” viene narrato. La narratività, quindi, viene intesa come un insieme di codici, procedure e operazioni indipendenti dal medium nel quale esse si possono realizzare, ma la cui presenza in un testo ci permette di riconoscere il testo come racconto. Il rapporto tra narratività e racconto è in sostanza simile tra quello che corre tra grammatica e lingua. Il nucleo centrale nell’ambito della narratologia è quello di individuare un’operazione minimale resa propria da un testo e che permette di riconoscerlo come un racconto. Per narratività si intende quell’ insieme di regole, modi e strutture profonde che presiedono a ogni racconto e ne determinano la manifestazione di superficie, ovvero il suo darsi attraverso enunciati verbali o audiovisivi, atti a raccontano di personaggi che si muovono nello spazio e nel tempo, secondo una certa logica casuale. Ogni racconto da cosi vita ad un suo mondo, parlato di personaggi, luoghi, tempi, eventi, sentimenti, oggetti, rumori, musiche ecc. Cosi la narratologia si tramuta in dieresi, cioè un qualcosa che appartiene alla storia raccontata e al mondo proposto o supposto della finzione. Se si pensa al periodo del Medioevo, in cui si assiste ad un contesto dove l’immaginario ha una valenza fortemente evocativa, comunicativa e costruttiva. Si assiste ad eventi caratterizzati da una cultura fortemente basata su aspetti religiosi.  Tutta la cultura e la spiritualità medievale riconosce, nel simbolismo e nell’allegoria, i fondamentali schemi espressivi della concezione generale del mondo, terreno e ultraterreno. L’unità di vita e di fede non presentano soluzioni di continuità, inoltre, le tematiche di fede, vita, simbolo e allegoria si inquadrano coerentemente nel contesto storico. Le varie discipline, quali, Arte, Scienze, Filosofia, sono ritenute tutte figlie dell’unico Dio, e si esprimono con parole che hanno ciascuna un significato particolare, pur cospirando nel loro insieme a un’armonia superiore. In un univoco atteggiamento spirituale il simbolismo e l’allegoria convivono e si concretano in forme che presentano grandi diversità tra loro. Parlare di simbolismo implica il dover chiare il contesto storico a cui si fa riferimento, in particolare per i primi secoli del Cristianesimo dell’allegorismo romanico e gotico, strettamente collegato con la cultura della Scolastica. Il simbolo paleocristiano, esprime un che di particolare e gioioso, collegato all’annuncio escatologico, alla persecuzione e al martirio letti come l’invito ad una prossima felicità. A questo carattere idilliaco e semplice del simbolismo paleocristiano va riportata anche la maggior fortuna della parola nei confronti dell’allegoria propriamente detta: perché la parola è più legata ad un esempio specifico e verosimile (il buon pastore o i lavoratori della vigna), mentre l’allegoria si basa su una generalizzazione razionale o quanto meno intellettuale. Sono numerevoli le allegorie del Buon Pastore: Cimitero di Galliano, III secolo; cimitero di Protestato, fine sec. III; cimitero di Domitilla, sec. IV; statue e sarcofagi del Museo di Galla Placidia. Si tratta di allegorie in cui l’agnello prende il valore mistico di simbolo divino ed acquista diverso significato, come nella coperta di Evangelario nel tesoro del Duomo di Milano sec. V. Le allegorie dottrinali raggiungono il loro massimo sviluppo nei grandi cicli comprendenti tutti gli elementi del sapere teologico, morale, letterario. In particolare l’ordine francescano personifica forme devozionali tali da suscitare un’immediatezza sentimentale. Come per le allegorie dei voti dell’ordine: Povertà, Castità, Obbedienza. Temi trattati in campo della pittura, soprattutto per il raffigurare le nozze di San Francesco con Madonna Povertà. Tra i più importanti cicli raffigurativi sono notevoli quelli di Giovanni Pisano, Andrea Pisano e S. Giovanni Fuorcivitas. Nel vasto campo della letteratura sono notevoli le rappresentazioni dei Mesi, come anche delle Muse legate alle Arti Liberali. Ancora con simbolismo e allegoria si fa riferimento al mondo della letteratura, tra cui il capolavoro allegorico per eccellenza è la Divina Commedia di Dante. L’immaginario viaggio oltremondano che si compie in sette giorni nel periodo che precede e si conclude con la Pasqua. Un viaggio che è metafora di un viaggio mentale che la coscienza deviata deve intraprendere all’interno di se stesso per riedificare la propria volontà di bene, per riconquistare la libertà del peccato e la consapevolezza che il destino dell’uomo è sovramondano. Quindi viaggio come simbolo del percorso che percorre l’umanità intera, ogni volta che si smarrisce e cade nel male, e deve ricondurre la strada che porta alla verità. Dante stesso è simbolo di un qualcosa che è la società del suo tempo, simbolo del cittadino di una società turbata e sconvolta da forze contraddittorie, dalla violenza, dalla guerra, dal disordine, impegnato a ristabilire la saggezza e la misura. Un dramma che si configura come il dramma di una società che dovrà reimparare a inserire integralmente nel circolo della sua quotidiana esistenza le forze morali e religiose premessa della felicità eterna. Tutto il Medioevo è un periodo carico di simboli e lo si può ritenere come un “grande serbatoio di simboli” come lo definisce Jacques Le Goff.  Soprattutto gli animali sono simbolo di un qualcosa, si vedano i numerosi bestiari che sono stati compilati come elenco, riportando i vari simboli. Animali che poi vengono ripresi, in parte, anche da Dante, si veda ad esempio la Lonza, animale dal pelo maculato che simboleggia la lussuria. Esempi noti sono lo struzzo che depone le uova nella sabbia e dimentica di covarle, dando l’immagine del peccatore che dimentica i suoi doveri verso Dio. Ancora, lo scorpione che punge con la sua coda è simbolo di falsità e principalmente simboleggia il popolo ebraico. Oppure animali con valenza ambigua, quali il leone e il liocorno, che possono essere letti come simbolo della forza e della purezza, oppure, come simbolo di violenza e ipocrisia. Troviamo ancora, la simbologia dei numeri e delle discipline. Tommaso di York diceva che «Conoscere la musica è conoscere l’ordine di tutte le cose», in quanto la musica è armonia. Riguardo il linguaggio poetico, invece, si può parlare di due campi che coesistono reciprocamente l’uno con l’altro e sono: significante e significato. Il significante riguarda le parole della poesia, il loro suono, il loro ritmo, i loro accostamenti. Se noi parafrasiamo la poesia ci accorgiamo che abbiamo difronte un testo diverso, utile per uso scolastico, per spiegare il senso dei vocaboli che abbiamo incontrato, ma certamente prosa, non poesia. La poesia vive di suoni, ritmi, figure, anzi di quei suoni, ritmi, figure che il poeta ha scelto per comunicare il proprio messaggio. Ciò equivale a dire che, nella poesia, significante e significato sono strettamente connessi, al punto da risultare inscindibili. Il significato giunge a noi attraverso quel significante; se interveniamo sul significante, modificando l’ordine delle parole o sostituendo un vocabolo con un altro, tutti gli equilibri risultano alterati, quella poesia non esiste più. Per questo stesso motivo, una poesia tradotta può essere bella e suggestionante, ma è certamente “altro” rispetto all’originale. Può restituirci la forza delle immagini, non quella dei suoni e dei ritmi. Il linguaggio della poesia è infatti denso, concentrato e polisemico, il poeta condensa emozioni, pensieri, sensazioni in immagini sintetiche e incisive, lasciando che sia il lettore a interpretarla. In ogni tempo, l’artista è colui che  si differenzia dagli altri uomini come colui avverte maggiormente l’urgenza di comunicare la necessità di esprimere il suo contenuto interiore, che in lui ha maggiormente estensione e profondità: ne deriva una eccessiva sensibilità che è consapevolezza e lo porta ad esprimere entro un limite. La forma non è altro che il limite dell’artista si impone per determinare ciò che sente dentro. In ogni tempo, l’artista è colui che  si differenzia dagli altri uomini come colui avverte maggiormente l’urgenza di comunicare la necessità di esprimere il suo contenuto interiore, che in lui ha maggiormente estensione e profondità: ne deriva una eccessiva sensibilità che è consapevolezza e lo porta ad esprimere entro un limite.  La forma non è altro che il limite dell’artista si impone per determinare ciò che sente dentro di sé.  In particolare il fenomeno del Futurismo si basa su concetti espressi in base a teorie elaborate e di sperimentalizzazione. Umberto Boccioni per dare forma al movimento punta alla simultaneità.  Egli vede il corpo fermo come in movimento, perché partecipa al dinamismo universale non meno di uno che si sposta. Punta sulla durata teorizzata da Bergson, cioè vista come sintesi di un tempo passato, presente e futuro, che si realizza nella memoria e nella coscienza.  La memoria è così intesa come slancio vitale, un divenire in creazione. Boccioni parla di vibrazione universale, integra la sensazione con la luce, abbraccia la concezione energetista dei fisici che riduce anche la materia ad energia. Materia e movimento appaiono, cosi, riconducibili allo stesso principio di energia. Con l’opera “Materia” del 1912, propone questa soluzione sintetica, unendo in una sorta di caos figura e ambiente, attraverso linee-forza. Elabora una complessa filosofia del movimento. Con il Futurismo l’arte diventa azione, presenza, nuovo oggetto, nuova realtà creata con gli elementi astratti dell’universo. Il manifesto del Futurismo prevedeva anche vestiti trasformabili, giocattoli e tutto un paesaggio artificiale, con anche strade sopraelevate progettate da Sant’Elia e da Chiattone, mai ancora realizzate. Il manifesto diceva chiaramente che gli artisti attraverso l’utilizzo del canale di comunicazione dell’arte volevano cantare: « 1. NOI VOGLIAMO CANTARE l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia». Questi primi due punti del manifesto Futurista esprimono bene il senso di arte come linguaggio espressivo e strumento di testimonianza storica. A partire dal 1940 si inizia a parlare di arte Informale. Questo fenomeno artistico nasce in America e i giovani americani ricercavano un’interpretazione della realtà formale, pragmatica, non ideologica. Volevano approfittare dell’estrema libertà già adoperata da Picasso, in cui la forma viene addirittura deformata, resa irriconoscibile. In particolare, gesto e segno diventano esito di dinamismo in libertà, l’artista stesso si muove su una superficie da dipingere.  La pennellata diventa un gesto, un impulso vitale e questo ci è stato documentato attraverso foto di artisti all’opera. (Cfr.: J. Pollock). L’Informale è quindi una cultura che antepone il fare alla teoria e l’esistere al pensare.  Notevoli sono i segni nervosi e gestuali del periodo prima della guerra, contrapposti ai gesti puri e delicati del dopoguerra. Questo fa notare come si stia parlando di una modalità di espressione umana chiamata “arte”. Kandinskij ad esempio parla di segni collegati alla psiche. Secondo Lui infatti, la terza dimensione può essere collegata con uno spazio psichico. Si tratta di una nozione di profondità che vede il quadro come una soglia di incontro tra l’ impressione interiore dell’artista e quella dell’ osservatore, perché guardando l’opera si potesse mescolare fino al farne parte. Kandinskij, ancora, rompe con la tradizione di dipingere oggetti e figure che esistono nella realtà e crea la sua prima composizione di forme e colori totalmente emancipata dal problema della rappresentazione, con le sue opere astratte.  Si ha così il primo spazio interiore della storia della pittura, anche se il passaggio all’astrazione, che avverrà per slittamenti progressivi, non è ancora definitivo, né tonalizzante almeno fino al 1912. Con la comparsa della nota romantica, data dal personaggio del cavaliere sulla scena si ha un novo spazio nella pittura. Uno spazio dove non esiste altro che forma ed energia, dove il segno sulla tela non solo ci fa vedere qualcosa, ma crea nel nostro animo un trasporto dell’anima, che permette di vivere il quadro stesso sotto forma di energia ed emozione. L’espressionismo resta sempre sostanzialmente figurativo e la sua attitudine visionaria e deformatrice è sempre carica di disagio esistenziale. Inoltre, mentre la teoria degli espressionisti definisce i suoi valori cromatici per rapporto al nero e alla tenebra, il colore di Kandinskij e dei suoi amici prende corpo dall’esperienza fauve che, discendono dall’impressionismo, definisce invece ogni valore per rapporto al bianco, ovvero alla luce. All’origine si parla di un’immagine senza oggetto che può dirsi invenzione dettata da un sentimento infantile, che miscela visibile e invisibile lasciando vibrare nella pittura nuove profondità.  L’opera “Improvvisazione XIX” ( o “Il suono azzurro”) del 1911 è un manifesto dell’ideale di armonia, come insieme di tensioni organizzate: ogni immagine deve essere sempre una tonalità che sappia sviluppare al proprio interno nuovi criteri mai esistiti, senza rifarsi alle combinazioni del mondo oggettivo. Scriverà Kandinskij: «In ogni autentica opera nuova viene ad esprimersi un mondo nuovo, ancora mai esistito».

 

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