di Tiziana Mazzaglia
Il recente clamore mediatico sull’ipotesi che il cromosoma *Y* stia “scomparendo” richiama l’attenzione su una delle questioni più affascinanti e controverse della genetica evolutiva. Secondo alcune stime, l’essenza di questo timore ha origine dal fatto che il cromosoma Y ha perso moltissimi geni in milioni di anni: si stima che, nel corso della sua storia evolutiva, abbia perso circa 1.393 dei 1.438 geni originari che condivideva con l’X. Se si seguisse linearmente quel ritmo (circa 4–5 geni persi ogni milione di anni), alcuni calcoli suggeriscono che il Y potrebbe diventare “vuoto” entro 10 milioni di anni. Ma questo non significa che il cromosoma Y sia direttamente destinato all’estinzione nel prossimo futuro. Anzi, la scienza rivela un quadro molto più complesso e sfumato. Uno studio pubblicato da Melissa Wilson Sayres e collaboratori, basato sul confronto tra cromosomi Y di uomini europei e africani, ha criticato l’idea di una degenerazione rapida e inevitabile: secondo gli autori, la piccola dimensione del Y è dovuta a processi di selezione purificatrice più che a un collasso genetico imminente. Altri ricercatori hanno invece mostrato che molte delle regioni funzionali rimaste sul Y sono soggette a intensi processi selettivi, salvaguardando le funzioni essenziali. Dal punto di vista evolutivo, il cromosoma Y è già in uno stato di differenziazione estremo: non ricombina con l’X nella maggior parte delle sue regioni, il che riduce la capacità di eliminare mutazioni dannose. Questo fenomeno favorisce la perdita genica nel tempo, ma non implica che tutto il suo contenuto sia destinato a sparire. Il dibattito scientifico attuale si concentra su quanto velocemente e fino a che punto potrà degradarsi, e se l’evoluzione potrà compensarlo. Alcuni scenari ipotetici non catastrofici includono la possibilità che altri cromosomi assumano ruoli di determinazione sessuale se il Y perdesse troppe sue funzioni, oppure che si evolvano meccanismi genetici alternativi per mantenere la biforcazione sessuale. In certe specie animali sono stati osservati casi di sostituzione del cromosoma sessuale o di perdita del cromosoma Y. Nella biomedicina moderna, tuttavia, è ben documentato che la perdita del cromosoma Y in alcune cellule (fenomeno detto mosaic loss of Y, LOY) diventa più frequente con l’età e si associa a rischi per la salute. Uno studio su topi modificati per perdere il Y ha dimostrato che, rispetto ai controlli, i soggetti senza Y in molte cellule mostrano una mortalità maggiore e problemi cardiaci: il cuore si irrigidisce, compare fibrosi e la funzionalità diminuisce. Nell’uomo, analisi su oltre 15.000 uomini del UK Biobank hanno rilevato che chi perde il cromosoma Y in almeno il 40% delle proprie cellule ematiche ha un rischio aumentato del 31% di mortalità da malattie del sistema circolatorio. Ulteriori studi hanno confermato che in molte forme tumorali (bladder cancer, tumori testa-collo) la perdita del cromosoma Y o la delezione di geni Y‑specifici peggiora la prognosi. Un’altra frontiera interessante è il recente studio che ha identificato un gene, PRSSLY, che sembra essere un residuo evolutivo scaricato dalla X ma mantenuto sul Y nei mammiferi placentati, suggerendo che non tutto è perduto: il Y continua a conservare elementi funzionali che potrebbero avere un ruolo rilevante nella determinazione del sesso o nella fertilità maschile. L’ipotesi che il cromosoma Y sia “in estinzione” è affascinante e stimola riflessioni profonde sulla genetica e sul destino maschile, ma la scienza attuale suggerisce cautela: la perdita genica non implica scomparsa immediata, esistono sistemi di mantenimento, e le conseguenze sulla salute umana oggi sono più concrete che quelle evolutive stesse. Come in ogni tema evolutivo, il futuro è incerto, e il cromosoma Y, nella sua fragilità genetica, rimane uno dei palcoscenici più affascinanti della biologia.
L’immagine allegata è stata creata con l’Intelligenza Artificiale.
