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Quando chi ci consuma diventa il vero peso

di Tiziana Mazzaglia

di Tiziana Mazzaglia

A volte, la stanchezza non si cura solo dormendo, ma liberandosi da chi ci consuma. Quante volte abbiamo creduto che bastasse chiudere gli occhi per ritrovare la forza, ma come diceva Fëdor Dostoevskij, «La sofferenza e la fatica sono inevitabili, ma restare prigionieri di un’anima che ci consuma è una scelta da cui liberarsi». Anche nel cinema, come in Il favoloso mondo di Amélie, si suggerisce che «bisogna fare dei piccoli miracoli per se stessi ogni giorno», e uno di questi è riconoscere chi ci toglie energia e avere il coraggio di lasciarlo andare. Liberarsi da ciò che consuma non è facile, ma è un atto di amore verso se stessi, come ci ricorda Virginia Woolf: «Non si può trovare la pace se non si è in pace con sé stessi». Solo così la stanchezza più profonda, quella dell’anima, può lasciare spazio alla rinascita. Perché, come diceva Thich Nhat Hanh, «Non possiamo liberarci della sofferenza se non affrontiamo le cause, e spesso sono le relazioni che ci intrappolano». Imparare a dire “basta” è il primo passo per tornare a respirare davvero e riscoprire la propria luce. E allora, se senti che la tua stanchezza ha radici più profonde del corpo, fermati. Respira. Come insegna il pensiero zen, «non è la montagna davanti a te che ti sfianca, ma il sassolino nella scarpa». Impara a riconoscere i pesi invisibili: persone che drenano energia, pensieri che si ripetono come sabbia nel vento, attese che non portano mai frutti. Liberatene con gentilezza. Coltiva il vuoto fertile del silenzio, prenditi tempo per ascoltarti. «Siediti, cammina, sii presente. Nulla da fare, nulla da diventare», direbbe Thich Nhat Hanh. È lì che rinasce la vera forza.

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