di Tiziana Mazzaglia
Fin dall’alba del tempo, l’uomo ha cercato nei cristalli la voce silenziosa della natura, ascoltando i sussurri delle pietre come se fossero preghiere incise nella roccia. L’ametista, con la sua veste violacea, proteggeva i guerrieri longobardi dagli inganni del vino, nascosta sotto il cuscino come un talismano discreto contro i rimpianti del giorno dopo. Il cristallo di rocca, chiaro come la verità, assorbe la luce e la trasmuta in energia, dicono che sia la pietra della salute, l’occhio puro della terra che amplifica pensieri e guarisce il turbamento. L’onice, oscura e solenne, fortifica l’anima come uno specchio di coraggio, e Santa Ildegarda la consigliava contro febbri e occhi stanchi, lasciandola riposare in aceto o vino per restituirla potente. Il lapislazzuli, celeste come i pensieri più limpidi, unisce chi parla e chi ascolta, porta la voce laddove il cuore tace, e nelle mani degli antichi sacerdoti era sigillo di saggezza. La malachite, verde come la rinascita, protegge i fragili e accompagna le trasformazioni, si dice che apra il cuore e allontani la paura, in ogni sua venatura si cela un percorso che porta altrove. Le culture hanno tessuto storie attorno a queste pietre, trasformandole in specchi dell’anima, ponti tra ciò che si tocca e ciò che si sente. Anche se la scienza tace sul loro potere, l’uomo continua ad amarle, come si ama ciò che consola, che racconta senza giudicare. E così, nel palmo della mano, un cristallo diventa preghiera.
